Salutiamo a quanto pare, e con una buona dose di rimpianto, la collana “Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi”, che con il numero 24 termina le sue pubblicazioni dopo giusto due anni di edicola.
Il commiato di una serie alla quale si può ascrivere una pletora sconfinata di meriti non poteva che essere riservato ad una delle storie più malinconiche, velatamente tristi ed in parte amare mai scritte da Tiziano Sclavi, “Il lungo addio”, pubblicata per la prima volta nel lontano 1992 (albo N°74 della serie regolare) e da allora diventato manifesto di tutti gli ultimi dei romantici, testamento sentimentale del personaggio e del suo autore, storia che solo una lettura disattenta e superficiale può trovare strappalacrime, e che compendia nelle sue 94 tavole una filosofia intera.
Il lungo addio è probabilmente, insieme a Johnny Freak e a Oltre la morte, uno degli albi che per sempre hanno cambiato la figura dell’Old Boy rendendolo “immortale” e non più soltanto difensore degli emarginati ed antieroe votato a lottare contro forze oscure.
Non a caso si tratta di tre storie tutte sceneggiate da Sclavi, anche se Il lungo addio prende le mosse da un soggetto di Mauro Marcheselli sul quale Tiz è intervenuto rendendolo un capolavoro assoluto.
Non raccontiamo qui la trama né facciamo una vera recensione dell’albo, un po’ perché in molti certo lo hanno già letto e un po’ per invogliare chi ancora non conoscesse questa storia a recuperarla per farsi un’idea di cosa rappresenti per il fumetto italiano. Spendiamo qualche parola però sulle tavole di Carlo Ambrosini, il quale è stato in grado di adattare il suo abituale registro ammorbidendolo ed utilizzando spesso la tecnica della “mezza tinta”, specialmente per le scene ambientate nel passato. L’espediente forse si nota di meno tra le pagine a colori dell’albo appena uscito, ma vi assicuriamo che nell’originale in bianco e nero compie perfettamente il suo dovere!
Si sapeva fin dall’inizio che la serie era destinata a concludersi e non poteva essere altrimenti, pur considerando la vastità del “corpus Sclavianum” che assomma a circa 150 sceneggiature per Dylan Dog, facendone una stima senza pretese di esattezza; e come dichiarato dallo stesso Marco Nucci, tra i curatori della testata ed autore di interessanti saggi o brevi racconti spesso incentrati sulla storia del mese, è anche confortante per certi versi sapere che ci sono cose ed esperienze belle che nascono, hanno un loro corso e finiscono, come un cerchio che fisiologicamente di chiude.
(A questo proposito, ringrazio proprio Marco per avermi concesso di utilizzare la foto a corredo dell’articolo!)
Tuttavia, senza voler fare troppa filosofia spicciola, è indubbio che delle innumerevoli ristampe che sono state dedicate all’Indagatore dell’incubo, a chiudere anzitempo è quella di maggior pregio, che veniva fornita in una confezione curata con tanto di copertina cartonata (veri gioielli le copertine stilizzate di Gigi Cavenago) e corredata da redazionali in grado di contestualizzare la storia approfondendola sia dal punto di vista critico ed analitico che sotto l’aspetto tecnico della sua genesi grafica.
Un vero peccato quindi, perché se si tiene presente che Sclavi non è mai rimasto uguale a sé stesso ma si è evoluto nel tempo attraversando diverse fasi creative e persino tematiche, passando dall’azione pura e semplice alla denuncia sociale, che fosse verso le oppressioni o verso la censura, fino alla commedia surreale, ci si accorge che qualcosa alla collana manca davvero.
L’excursus su ciò che Sclavi ha proposto su Dylan Dog è stato sì comprensivo di praticamente tutte queste fasi, tuttavia sono rimasti esclusi alcuni albi che avrebbero meritato lo stesso trattamento e la stessa edizione di pregio. Mi riferisco, in ordine rigorosamente sparso, a storie come Doktor Terror, Ucronia, Caccia alle streghe, Marty, Zed…
In definitiva, se devo fingere di essere serenamente e stoicamente rassegnato a non trovare più in edicola nei primi giorni del mese una storia di Tiziano Sclavi da rileggere e riassaporare in una prospettiva nuova, o della quale scoprire un’interpretazione che magari 20 anni fa non avevo colto, a questo punto non poteva esserci commiato migliore, proprio come un lungo addio.
Nell’attesa di ricevere maggior luce sul progetto annunciato da Bonelli e riguardante “I racconti di domani”, ed anche delle ormai saltuarie sceneggiature di Tiz che a intervalli irregolari giungono sulla serie regolare.