Sabato 30 giugno, oltre che a Milano e a Perugia, l’onda del Pride è arrivata anche a Pompei. La parata per la rivendicazione dell’orgoglio LGBT, che affonda le sue radici fin dagli storici Moti di Stonewall del 1969, per la prima volta nella Storia si è mossa, dunque, per le vie della città nota in tutta il mondo per gli Scavi archeologici, ma anche per il Santuario della Madonna. Ed è proprio per la presenza di questo simbolo del cristianesimo che non sono mancate le polemiche, prima e durante la manifestazione. Gruppi di integralisti cattolici e di neo-fascisti hanno, infatti, sostenuto che la sfilata risultava offensiva per il loro credo e che in nessun modo essa sarebbe dovuta passare dinanzi alla cattedrale. Nel corso del Pride, non a caso, alcune persone si sono riunite davanti alla chiesa per pregare contro quella che hanno definito un’esibizione del peccato e del demonio, un po’ come se il processo a Galileo Galilei non fosse mai avvenuto e ancora non si fosse scoperto che la Terra sia, in realtà, tonda. Tuttavia è da sottolineare, però, che quanti effettivamente si sono riuniti nella recita del Rosario “riparatore” erano, invero, uno sparuto consesso di più o meno dieci componenti, mentre per la festa arcobaleno sono sopraggiunte sul posto circa diecimila persone; questo a riprova del fatto che gli osteggiatori sono ormai sempre di meno. Ciononostante, riteniamo necessario, anche da parte nostra, contribuire a smontare tutte le idiozie ( ci si passi il termine) che sono state proferite contro il Pompei Pride, e vogliamo farlo con un approccio storico-culturale.
Innanzitutto, ciò che stride oltremodo, soprattutto nel contesto campano, è il dato della religione usata come clava per segnare un discrimine contro l’omosessualità. Gli ultra-cattolici, probabilmente, in questo senso, dimenticano che, non molto lontano dalla città degli Scavi, vi è un altro noto ed importante santuario, quello di Montevergine, in provincia di Avellino. Ebbene, durante la Candelora, presso questo luogo di culto, si effettua, fin da tempi remoti, la cosiddetta “Juta dei Femminielli”, ovvero il tradizionale percorso di pellegrinaggio che parte dal centro di Napoli per raggiungere “Mamma Schiavona”, la protettrice della comunità LGBT della Campania. E che cosa è questo se non una forma “ante litteram” del Gay Pride?
A proposito del femminiello (o femmenello), poi, questi è una figura centralissima di quella che possiamo definire la fauna urbana della cultura partenopea, la quale si intreccia con gli aspetti più significativi della sua tradizione – inclusa, appunto, quella religiosa -, e del suo folklore. Come non poter citare, ad esempio, la Smorfia napoletana.
In aggiunta a ciò, vi è un altro fattore, non meno rilevante, da tenere in considerazione e che può tornarci utile per proporre una riflessione contro gli esponenti di un partito di estrema destra, i quali hanno sostenuto in maniera sprezzante, con tanto di manifesti, che “Pompei non è Sodoma”. Orbene, con ogni probabilità, questi ultimi non ricordano che la città campana, insieme ad Ercolano, è la testimonianza più grande della civiltà antica, la stessa dove l’omosessualità non era per nulla da considerarsi espressione clandestina della convivenza sociale. Del resto, a conferma di ciò, basta fare un giro negli stessi Scavi per notare, tra gli altri, quelli che sono gli affreschi omoerotici. Dunque, magari, piuttosto che pensare a limitare le libertà altrui, l’invito da avanzare a costoro sarebbe quello di andare a passare una giornata all’insegna della scoperta…per il bene di tutti.
In conclusione, alla luce di quanto qui appena descritto, è molto più che evidente che l’unica cosa non ammessa a Pompei, a ben guardare, più che l’omosessualità, è l’omofobia.