In questa pellicola che galleggia fra cronaca e satira della politica, Adam McKay, regista abile nelle descrizioni di ambienti finanziari corrosi dalla corruzione, cavalca l’onda emotiva e la passione popolare che attiene a circa cinquant’anni di storiografia politica americana, a far tempo dall’amministrazione Nixon.
Negli anni Settanta Dick Cheney – interpretato da un impressionante Christian Bale (per bravura e per stazza, laddove ha messo su 30 kg per esprimere la fase adulta di Dick) è fidanzato con Lynne, una ragazza davvero brillante (la poliedrica Amy Adams, che ormai ci ha abituato a passare in un nonnulla dal ruolo di principessa in Come d’Incanto a quello di glottologa in Arrival, come da quello di mantenuta di lusso in Hustle – l’apparenza inganna sa transitare nel ruolo di fidanzata di Superman in L’Uomo d’Acciaio).
In quegli anni, Dick non è proprio un tizio integerrimo: è un ubriacone che riesce a farsi espellere dall’università, e che persevera nel bere anche quando trova lavoro per occuparsi della manutenzione di pali di corrente elettrica. Quale epilogo di quest’ultima esperienza, un arresto per rissa e guida in stato di ebbrezza. La sua donna gli dà l’ultimatum: o cambia, o è finita. Lui l’ama. E cambierà sul serio. Al punto che insieme diventeranno una delle coppie di potere più in vista di Washington; influenti al punto da imprimere, seppur nell’ombra, ogni connotato operativo alla gestione presidenziale di un George W. Bush (Sam Rockwell, perfetto nel ruolo di golden boy per discendenza, detestabile per debosciatezza quanto capace di suscitar tenerezza nel suo tentativo di tagliare il cordone ombelicale con l’ingombrante sagoma del padre, tal George Herbert Walker Bush) che, in questa pellicola, barcolla goffamente tra le figure retoriche del trasandato e l’inadeguato. Nonchè, a memoria d’uomo, freddo apice di una delle amministrazioni più invasive per la stabilità della democrazia americana.
Sulle prime, Lynne è quasi più assetata di potere di Dick. Poi, dopo aver appreso del “coming-out” della figlia, questa palesa la necessità di fare un passo indietro. Tuttavia, è ormai troppo tardi. Dick ha assaporato il potere vero, e non può più farne a meno. L’adrenalina e il senso di onnipotenza lo mandano in estasi, pur dovendo spesso catapultarsi in ospedale per soccorrere quel corpo sempre più labile, laddove oggetto di sempre più frequenti infarti.
Dick Cheney, alle prime esperienze da “elemento del sistema”, apprenderà le tecniche politiche dal suo mentore, Donald Rumsfeld (Steve Carell): il quale, goliardico e aggressivo nelle interlocuzioni fino all’irriverente, ne apprezzerà egualmente, e sin da subito, la riservatezza, i modi pacati e la tendenza ad esser poco appariscente. Benchè egualmente incisivo nella sua collaborazione (“Mi piaci Dick. Tu sei uno di quelli che parla poco, eh?”).
Caratteristica che connoterà anche la sua vice-presidenza nell’era George W.Bush. Il quale assume di buon grado – anche perché si era già reso conto, da un sondaggio, di essere ultimo nelle preferenze dei sostenitori del partito repubblicano e che quindi sarebbe stato del tutto inutile concorrere alle primarie residenziali – riuscendo a imporre al celebre rampollo (in verità, George W.Bush è qui rappresentato come un incapace totale, forse in maniera anche troppo ingenerosa) anche numerose condizioni: non ci dovranno essere preclusioni informative al Vice Presidente, non ci saranno limitazioni all’accesso alle Camere. E allo stesso dovranno essere conferiti anche poteri decisionali diretti in materie anche delicate, come mai s’era visto alla Casa Bianca. In pratica, un Vice Presidente che conta più del Presidente stesso. E che, manco a farlo apposta, annovererà nella sua cerchia di collaboratori stretti anche lo stesso ex maestro Rumsfeld. Che non potrà fare a meno di notarne il cambiamento. Ancora silenzioso, ma molto più spietato. Il risultato va ottenuto con ogni mezzo, sembra esser diventato il motto di Cheney; che finirà, egoisticamente, per silularlo. E proprio per preservare la sua posizione in un’occasione che sembrava minarne la tenuta.
La pellicola è incentrata sull’attrazione per il potere, modulata secondo un ritmo frenetico e un taglio eccentrico che strizza l’occhio alla narrazione di un’America oggetto di un impoverimento economico e un imbarbarimento sociologico e culturale. Le trovate ad effetto sono numerose: 1) La voce del narratore fuori campo, che esonda sarcastica dalla bocca dell’americano comune (Jesse Plemons); 2) La costante sottolineatura dei consensi poco informati di George W.Bush rispetto alle sue idee grazie alla profusione delle brevi scene di Dick che lancia l’esca nel lago trovando sistematicamente l’abbocco della facile preda; 3) A metà film, la scena (falsa) in cui Dick e consorte si ritirano a vita privata – anche per preservare la figlia dichiaratasi omosessuale in un contesto socio-pedagogico ancora arretrato – in una tranquilla zona di campagna, seguita da titoli di coda che vengono bruscamente interrotti dalla telefonata con cui gli verrà offerta la vice-presidenza e che decreterà l’inizio della seconda parte della pellicola;
L’accento è posto sull’efficace irruenza dei mutamenti politici imposti da Cheney, specie in ordine al venir meno della par condicio, alle ombrose strategie di comunicazione che vertono sul mutare le parole da proporre al pubblico ma non la sostanza delle stesse (si dibatte dei temi della tortura pur senza mai pronunciare la parola, addirittura inventando un obbrobio semantico quale l’interrogatorio potenziato), e al balletto informativo che per tanti anni ha caratterizzato uno dei più grandi interrogativi: L’Iraq era davvero in possesso armi di distruzioni di massa?
Tuttavia, Il film non abbina ogni colpa al solo Cheney, nonostante gli si imputi una colposa continuità operativa con i retaggi del passato, posti in essere da “maestri” della politica fin troppo “qualificati” nell’arte della “distrazione di massa”. Quali erano, a modo di vedere del regista, Nixon e Kissinger.
Gli ideali sotto la cenere già da tempo. Al diavolo, la presa del potere è il vero obiettivo. E, in questo, Dick Cheney, sempre secondo Adam McKay (che, in un certo qual modo, arriva a riconoscerne Il “genius operandi”) non si è fatto mancare proprio nulla.
Il bandolo della matassa sempre tra le mani. Pur agendo nel silenzio e nell’ombra.
Peraltro, circostanza piuttosto frequente nei giochi di “Sistema” di qualsiasi Stato.
In giro, tanti pomposi burattini a ostentare, effimeri, un’aurea di facoltosa abilità.
Dietro, i burattinai. Epicentro del potere vero. Scaltri come volpi nel detenerne, stabilmente, i fili.