“Perché la parola Potere ha un significato ben preciso, indica la possibilità e la responsabilità di doversi mettere al servizio degli altri, della comunità,” questa semplice frase può riassumere la lunga intervista con Paolo Battimiello, un uomo che è riuscito a fare del suo lavoro una missione, completamente rivolta alla crescita e alla formazione giovanile. Passione, professionalità, innovazione, tutti gli ingredienti di un uomo che con caparbietà ha lottato tanto per offrire e migliorare l’offerta formativa, e rivalutare il concetto stesso di scuola, non solo come un momento di insegnamento, ma anche luogo di incontro e di condivisione, dove imparare e crescere tutti insieme, alunni, docenti, non docenti, preside e genitori
Iniziamo con una domanda semplice chi è Paolo Battimiello?
Semplicemente una persona che ha fatto del suo lavoro a scuola la sua intera vita. Ho dedicato il mio tempo e le mie energie alla scuola perché è sempre stato il mio obiettivo, fin da piccolo, e nonostante abbia provato, da ragazzo, altre strade lavorative, il mio sogno si è avverato. A ventitré anni ho iniziato a insegnare in una scuola media di Scampitella,un paesino in provincia di Avellino, e da quel giorno non ho mai abbandonato il percorso della formazione scolastica. Potrei suddividere la mia carriera in cinque lunghi periodi, iniziati fra Scampitella e Vallesaccarda, per otto anni, per poi trasferirmi alla Sogliano dove ho lavorato per undici anni. Altri dieci anni a Via Manzoni, presso la scuola Viviani per poi iniziare la mia avventura come dirigente, nel 2004, presso l’I.C. Virgilio 4 di Scampia, esperienza che si è conclusa nel 2015 con il trasferimento al Vomero alla scuola Belvedere. Attualmente ho iniziato una nuova avventura al Pontano, perché, come amo definirmi, non sono un pensionato serio, perché dopo l’esperienza al Vomero avrei potuto fermarmi.Hoinvece accettato di seguire il percorso scolastico del Pontano oltre a dare una mano per il Comune di Napoli occupandomi di bambini disabili con l’Assessore Annamaria Palmieri.
Virgilio 4 di Scampia, Belvedere e Pontano, tre realtà differenti, quali sono le difficoltà che maggiormente ha trovato?
Credo che ciò che ha sempre caratterizzato il mio lavoro sia stato proprio quello di non aver mai dato peso alle differenze, in ogni scuola io sia stato, fin da quando ho iniziato la mia avventura con la scuola. Ho sempre detto, scherzando, che dappertutto i ragazzi hanno due occhi, un naso, una bocca e due orecchie e dappertutto possono avere alle spalle dei contesti problematici. Ma dappertutto i bambini hanno diritto di apprendere, imparare, crescere e noi abbiamo il dovere di fare in modo che ciò accada.Ogni luogo porta dentro le proprie specificità, la propria unicità, le proprie realtà positive e ovviamente le proprie problematiche. Scampia è stato per me un luogo di grande insegnamento e scambio culturale e ho sempre ritenuto che ha quell’esperienza mi ha arricchito più di quanto io abbia potuto essere utile a quella realtà. I ragazzi e i genitori di Scampia mi hanno insegnato quanto la scuola debba esserecentrale sia come luogo di insegnamento sia come centro culturale, un punto di riferimento per il quartiere a 360 gradi. E quella scuola è stato proprio un punto di riferimento soprattutto per i genitori che chiedevano una mano nel rapporto e nella crescita dei loro figli. Credo che la scuola, in particolare la scuola media, abbia il ruolo di condurre per mano alunni e genitori, considerando che gli stessi ci affidano bambini che noi restituiamo, una volta concluso il viaggio, uomini e donne. A quell’età c’è una crescita esponenziale dal punto di vista relazionale, culturale e fisico, quando diciamo che noi adulti cresciamo con i nostri figli significa proprio che abbiamo la necessità di rispettare i loro cambiamenti, le loro nuove modalità che loro vogliono utilizzare per rapportarsi a noi, e attraverso le loro nuove parole, i loro nuovi gesti e ideenoi cresciamo con loro, la relazione con tutti i ragazzi è fondamentale, le loro diversità ci regalano nuovi spunti di vita, ogni giorno.
Ovunque è andato ha sempre riscosso grande successo, sia da parte dei docenti che da parte degli alunni, quale è il suo segreto?
Per il semplice motivo che non l’ho mai considerato successo, ma sempre un lavoro, il mio lavoro! Nella scuola, ma questo accade anche in altri contesti, la logica naturale deve essere quella di lavorare mettendosi al servizio degli altri. Non ho mai considerato un personale successo il sorriso dei miei alunni o la gioia che mi ha procurato andare a scuola. Andare a lavorare in un contesto in cui sapevi di essere utile ma anche di avere la possibilità di imparare tanto, è sempre stata la spinta che mi ha permesso di migliorarmi; poi certi meccanismi relazionali diventano naturali. Bisogna pensare sempre che se è vero che noi abbiamo qualcosa da insegnare anche chi ci ascolta può esserci di aiuto, uno scambio profondo di importanza reciproca.
Ha avuto la fortuna di vivere un periodo di cambiamento della scuola, come è cambiata negli ultimi trent’anni?
La scuola senza troppi giri di parole rischia di non assolvere al suo compito e di avvitarsi su se stessa. La scuola è diventata, o forse lo è sempre stata, il luogo in cui si riversano tutte le responsabilità, qualsiasi sofferenza di qualsiasi età viene riversata nella scuola e qualsiasi problema viene poi indicato come qualcosa di cui la scuola colpevolmentenon si occupa. Dal punto di vista normativo, negli ultimi trent’anni, il sistema scolastico è notevolmente cambiato e molto probabilmente questi continui cambiamenti, non sempre metabolizzati, hannocontribuito a far perdere identità alla scuola. C’è tantissima buona volontà, disponibilità e voglia di fare, e questi fattori diventano la colonna portante di un progetto, mentre dovrebbero essere considerati come un valore aggiunto. Le norme non dovrebbero essere cambiate così velocemente, perché si crea confusione e disaffezione, divisione e una profonda incertezza, bisognerebbe costruire un sistema pedagogicamente riconosciuto e non affidarsi ad occasioni e scelte sporadiche che hanno orizzonti temporali brevissimi.
Una cosa che le sarebbe piaciuto fare e che invece non è riuscito?
La mia idea è sempre stata quella della comunità scolastica, vivere il lavoro facendo parte di una comunità. Non esistono in assoluto cose che non si riescono a fare, perché in un gruppo di lavoro motivato e determinato si riesce sempre a trovare la giusta spinta, le giuste motivazioni e soprattutto trovi sempre alleati che riescono a creare le condizioniaffinché i progetti possano realizzarsi. Cosa avrei voluto fare non saprei, forse se ne avessi avuto la possibilità sarei rimasto ancora nella scuola pubblica. Ecco se dovessi esprimere un desiderio sarebbe quello! Per esempio, negli ultimi due anni della mia carriera ho dovuto lasciare a metà un progetto a cui tenevo molto, legato al territorio. Perché quando parlo di comunità scolastica non mi riferisco solo ai docenti ma anche al territorio che c’è intorno, le nostre radici scolastiche e culturali sono inevitabilmente legate a ciò che ci circonda. La scuola deve essere il luogo delle opportunità e deve poter dare ai bambini, ai ragazzi l’opportunità di vivere e scoprire queste realtà. Ecco forse il mio unico rammarico è stato non poter concludere a dovere quel percorso.
In base alla sua esperienza quali potrebbero essere i consigli affinché la scuola sia sempre in continuo miglioramento?
Una delle cose che ho imparato essere fondamentale è stato quello di dover dedicare gran parte del mio tempo nell’ascolto dei ragazzi, ho sempre creduto che piuttosto che parlare dei ragazzi avremmo dovuto parlare con i ragazzi. Credo che ogni docente dovrebbe conoscere la storia, le abitudini, i sogni e le ambizioni degli alunni che gli sono affidati, mettendo i bisogni dei ragazzi al centro della sua azione, lasciando che parlino liberamente, senza essere per questo giudicati. Se si mostra disponibilità nei loro confronti, in automatico nasce la fiducia e in questo il docente ha un ruolo fondamentale. Credo che non ci possa essere comunicazione didattica se non c’è una positiva comunicazione interpersonale, ascoltare non significa “impicciarsi” degli affari dei giovani,ma creare un sistema relazione di fiducia bi-direzionale, per dare loro la possibilità di imparare a esprimere, senza remore, ciò che hanno dentro, che sia gioia, tristezza, idee o sogni. Bisogna avere fiducia nei giovani e interagire con loro come persone e non solo come alunni. Il compito primario della scuola è quello di formare uomini e donne, futuri e buoni cittadini, persone che hanno fiducia in sé stessi e hanno, grazie al sistema scolastico, i giusti strumenti per affrontare i problemi della vita.